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Corte d'Appello di Bologna > Giusta Causa
Data: 10/04/2006
Giudice: Varriale
Tipo Provvedimento: Sentenza
Numero Provvedimento: 181/06
Parti: Gaia G. / Poligrafici Editoriale SpA
GIUSTA CAUSA DI LICENZIAMENTO - RITARDATO RIENTRO AL LAVORO DALL’ESTERO DEL DIPENDENTE STRANIERO – MANCATA VINCOLATIVITA’ PER IL GIUDICE DELLE PREVISIONI DEL CCNL, SALVO DI QUELLE PIU’ FAVOREVOLI AL LAVORATORE - CARENZA DELL’ELEMENTO SOGGETTIVO: ILLEGITTI


Un lavoratore dipendente da circa dieci anni di una società era solito cumulare le ferie unendovi anche permessi non retribuiti per poter rientrare in Ghana (proprio paese d’origine e dove risiede la sua famiglia) e restarvi un periodo sufficientemente lungo, anche per ammortizzare le spese di viaggio. A tal fine egli era tenuto a formulare una richiesta scritta, con l’indicazione dell’intero periodo d’assenza, che doveva essere autorizzato dall’ufficio del personale. Nell’anno 2001 il dipendente, dopo aver originariamente richiesto un periodo complessivo dal 20.9.01 al 10.12 aveva poi chiesto (ed ottenuto) di posticipare la data di partenza di sei giorni, ritenendo di aver ottenuto anche il posticipo della data di rientro dall’assenza. Al contrario la società lo licenziava per (presunta) giusta causa, invocando la norma del contratto collettivo che consente la risoluzione del rapporto in caso di assenza ingiustificata superiore a tre giorni. Il Tribunale di Reggio Emilia confermava la legittimità del licenziamento, ritenendo sussistenti sia la “rilevante entità oggettiva” dell’assenza (di dieci giorni) sia la “non trascurabile gravità soggettiva della stessa” in quanto traente causa da una “colpa grave del lavoratore”. L’istruttoria si era infatti incentrata sulla prova, che il lavoratore non aveva fornito, di aver ricevuto assicurazioni dal capo reparto sullo spostamento dell’intero periodo di ferie per effetto della posticipazione del relativo giorno iniziale.

Tale circostanza non viene considerata dirimente dalla Corte d’Appello di Bologna, che riforma la sentenza dando ragione al lavoratore, invocando in primo luogo il principio in forza del quale la valutazione della proporzionalità tra il fatto addebitato al lavoratore e il licenziamento disciplinare costituisce apprezzamento di fatto che deve essere condotto non in astratto ma con specifico riferimento a tutte le circostanze del caso concreto, inquadrando l’addebito nelle specifiche modalità del rapporto e tenendo conto non solo della natura del fatto contestato e del suo contenuto obiettivo ed intenzionale, ma anche di tutti gli altri elementi idonei a consentire l’adeguamento della disposizione normativa dell’art. 2119 c.c. alla fattispecie concreta (Cass. 10.1.2004 n. 215; cfr. pure Cass. 20.8.2003 n. 12273; Cass. 15.2.2003 n. 2336; Cass. 26.5.2001 n. 7188; Cass. 14.5.1998 n. 4881) non essendo il Giudice vincolato dalla previsione di ipotesi di giusta causa di licenziamento contenuta in un contratto collettivo, stante la inderogabilità della disciplina dei licenziamenti (art. 2119 c.c.) ed il principio generale di ragionevolezza e proporzionalità, salvo il caso in cui il trattamento contrattuale sia più favorevole al lavoratore (cfr. Cass. 19.8.2004 n. 16260; Cass. 27.2.2002 n. 14041; Cass. 21.5.1998 n. 5103; Cass. 16.2.1998 n. 1604; Cass. 2.7.1992 n. 8098; Cass. 13.6.1984 n. 3522; Cass. 12.1.1983 n. 203; Cass. 3.11.1980 n. 5880).

Esaminando il caso concreto la Corte ritiene “del tutto verosimile, anche tenendo conto della non buona conoscenza dell’italiano da parte dell’odierno appellante, che quest’ultimo abbia inteso – o frainteso – che lo spostamento concordato del periodo feriale riguardasse pure la data del rientro, in relazione al nuovo volo che aveva a tal fine reperito, e non può quindi ritenersi che fosse in malafede quando rientrò in azienda dopo il termine originariamente comunicatogli. In altri termini, a fronte di quanto sin qui evidenziato, resta escluso l’elemento soggettivo della gravità dell’infrazione da lui commessa e, conseguentemente, la proporzione tra il fatto e la sanzione irrogatagli”. Considerando poi il comportamento del lavoratore negli anni passati (che non aveva mai dato adito a contestazioni) la Corte stigmatizza la condotta dell’azienda: “quest’ultima, nel rispetto dei principi di correttezza e buona fede, avrebbe dovuto adottare una maggiore cautela nel ritenere negligente e grave il mancato tempestivo rientro del lavoratore: soprattutto sapendo – o potendo facilmente conoscere, anche tramite gli altri dipendenti –che l’odierno appellante era andato nel suo paese d’origine…”

Conseguentemente la Corte d’Appello di Bologna dichiara il licenziamento privo di giusta causa (ed anche di giustificato motivo, tenendo conto dell’assenza della volontà del sig. D. di non rispettare la disciplina aziendale concernente l’autorizzazione dei periodi di ferie), ordinando alla società la reintegrazione del dipendente nel suo posto di lavoro al pagamento di un’indennità pari alle retribuzioni dalla data del licenziamento a quella dell’effettiva reintegrazione, oltre che al rimborso delle spese dei due gradi del giudizio.